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LA STORIA DELL'ORO

 

The Gold's Story

 

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1 -  BRAMOSIA D'ORO

 

L’oro ha sempre esercitato un fascino particolare sull’uomo. In ogni angolo del mondo, infatti, per più di 6000 anni, l'oro è stato oggetto di una con­tinua ed implacabile ricerca: il totale raccolto, però, probabilmente, non su­pera le 120.000 tonnellate, che, se fos­sero fuse in un unico lingotto, dareb­bero un cubo di non più di 18 metri di lato.

Sembra straordinario che le civiltà antiche abbiano usato le loro risorse ed il loro potenziale umano per estrarre un metallo così tenero ed inadatto alla fabbricazione di utensili, di armi o di altri mezzi essenziali per la sopravvi­venza. 

L'attrazione esercitata da questo metallo può essere forse fatta risalire all'interpretazione in chiave simbolica dei suoi aspetti esteriori, quali l'incor­ruttibilità, e la luminosità, che possono servire da tramite metaforico con la divinità (culti solari, ecc.).

Dove e quando l'oro sia stato lavo­rato per la prima volta rimane una questione aperta. Le scoperte degli archeologi ci spingono continuamente a riformulare le teorie sulla struttura e sullo sviluppo del Mondo Antico: di certo si sa che l'oro veniva lavorato con straordinaria abilità già 3000 anni prima di Cristo, dalle varie comunità del Medio e del Vicino Oriente.

La preziosità e i caratteri simbolici del metallo fecero sì che gli orefici costituissero lungo la storia una vera e propria élite fra gli artigiani, godendo di protezione e patrocinio di sovrani, sacerdoti e nobiltà.  Nella storia delle civiltà umane ci imbattiamo facilmente nello sfoggio dell'oro e nella sua utilizzazione per adornare o costruire. Basti pensare all’incredibile spettacolo che il 17 febbraio 1923 si presentò agli occhi di Howard Carter e di Lord Carnarvon quando rimossero la grande pietra che ancora li separava dall'ingresso della tomba di Tutankamen. In essa erano stati custoditi per millenni gli oggetti e il corpo stesso di Tutankamen.

 

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Dei tre sarcofagi che contenevano la mummia di Tutankomon, l'ultimo, quello più aderente al corpo, era completamente d'oro, finemente modellato a immagine del viso raffinato del giovane faraone.

Howard Carter espresse così le sensazioni che provò lanciando lo sguardo nella cripta illuminata dalle luci delle torce:

“L'oro riluceva come se fosse uscito allora dalla bottega... Il viso dipinto appariva rigido come una maschera e tuttavia vivo”.

 

2 -  L'ORO E GLI EGIZIANI

 

L'importanza dell'oro nell'antica civiltà egiziana sembra risalire a tempi incredibilmente anteriori alla stessa nascita dello stato che si estese su tutta la valle del Nilo. Infatti, gli scavi di Fayum hanno portato alla luce oggetti lavorati in felce ed oro risalenti a circa 10.000 anni fa, prima della costituzione dei potenti regni egiziani centralizzati. Probabilmente già in quella lontanissima epoca nacque il mito di Osiride(il Dio Sole) che, aiutato da Upust e Anubi (Dio dalla testa di sciacallo), conquistò l'Egitto e fondò la I Dinastia dei faraoni. Nel mito di Osiride è affermata l'importanza dell'oro, il cui possesso è monopolio del Dio Sole e del faraone, sua incarnazione, e viene data dimensione misteriosa al luogo da cui arriva il prezioso metallo giallo: il Paese del Punt. Nelle tombe dei faraoni si trovano iscrizioni e scene raffiguranti le spedizioni fatte in terre lontane, tenute gelosamente segrete ma localizzabili nell'Alto Egitto, cioè ai confini della Nubia (coincidente con l'odierno Sudan).

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Pendente Vulture - Dal tesoro di tutankomon

Da tali spedizioni i faraoni ottenevano oro, ebano e avorio. Un'attenta ricerca storica fa ritenere che la zona da cui giungevano queste importanti materie prime si trovasse nel continente africano. Probabilmente il "Paese del Punt" comprendeva allo stesso tempo la costa somala e i paesi arabi che si trovano al di là del Mar Rosso. Quindi, organizzare e condurre una marcia nel deserto, giungere fino alla costa e trattare con le popolazioni che vi abitavano e controllavano l'accesso marittimo alla penisola arabica era un'impresa colossale, per quei tempi.

È interessante sapere che fin dalla II Dinastia (circa 3.000 anni prima di Cristo) esisteva quello che oggi chiameremmo Dipartimento dei Lavori del Re il cui scopo era di controllare l'estrazione del turchese dalle cave del Sinai e il trasporto dell'oro dal Punt.

Tutto l'oro che affluiva in tal modo nei depositi reali veniva attentamente registrato e dato agli artigiani specializzati nella sua lavorazione, proprio come ai nostri giorni l'oro destinato alla lavorazione artigianale e industriale è distribuito dalle banche dell’oro sotto il diretto controllo dei governi!

L'oro e le pietre preziose furono alla base di un fiorente artigianato artistico e la raffinatezza dei gioielli ritrovati dimostra l'alta maestria raggiunta dagli Egiziani. Senza dubbio l'oro, per le sue qualità di lucentezza (una volta lavorato adeguatamente) e per il suo colore giallo intenso, si prestava bene a rappresentare il caldo colore del sole africano e quindi simboleggiava il potere vitale.

 

3 -  L'ORO E I GRECI

 

Dato che abbiamo iniziato a parlare della storia dell'oro partendo dal significato e dall'uso che ne fecero gli Egiziani, possiamo continuare prendendo in esame gli stessi aspetti che assunse questo metallo nella civiltà dei Greci.

Negli anni Settanta del secolo passato, l'archeologo Heinrich Schliemann stava cercando il luogo dove sorgeva la mitica città di Troia. Egli aveva l'idea fissa che non si trattasse solo di un'invenzione letteraria di Omero, ma che fosse esistita veramente. Le sue ricerche lo avevano portato a scavare anche intorno al luogo dove sorgeva Micene, la città greca da cui era partita la flotta che, secondo Omero, era stata costituita per far guerra a Troia. Di Micene erano rimaste alcune mura ciclopiche, tombe sotterranee e un corridoio che conduceva a una costruzione cilindrica chiusa da una gigantesca porta. Pur essendo noti tali resti, la città degli Atridi (la famiglia cui appartennero Agamennone, Menelao, Clitennestra, Oreste) non era meno misteriosa di Troia.

Dopo un'accanita ricerca Schliemann trovò una tomba nella quale scoprì un fantastico tesoro. Vennero alla luce coppe, vasi, spade, collane, diademi, anelli, bracciali, maschere finemente lavorate. Inutile dire che in tutti questi oggetti il costituente principale era l'oro!

Secondo Schliemann quello era il tesoro degli Atridi e la maschera mortuaria d'oro, era del re Agamennone. Studi più recenti hanno dimostrato che tutti quegli oggetti appartengono ad una civiltà molto antica fiorita insieme a Creta e Troia circa sedici secoli prima di Cristo.

 

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Un fatto curioso è il seguente: in Grecia non esistono miniere d'oro. Ma allora, da dove proveniva tutto l'oro del tesoro trovato da Schliemann? Dai miti e dalle leggende greche viene un'indicazione: forse dalla regione chiamata Colchide. Questa coinciderebbe con una parte del territorio russo che si affaccia sul Mar Nero, ai piedi del Caucaso. Se ciò è esatto, già in tempi antichissimi esisteva un commercio intenso che si svolgeva su distanze ragguardevoli e nonostante grandi difficoltà. Infatti, oltre al problema tecnologico dell'estrazione e del trasporto, le popolazioni che abitavano i territori attraversati dalla strada dell'oro erano potenziali nemici per chi lo commerciava. Non per niente ci furono a lungo ostilità tra i Traci e i Greci che nel V secolo prima di Cristo riuscirono a fondare Taso. I coloni di Taso, e di altre città greche più vicine al Mar Nero e alla Crimea, riuscirono alla fine a raggiungere degli accordi con i Traci per il commercio dell'oro.

L'importanza dell'oro nella civiltà ellenica fu molto grande, la tecnologia necessaria alla sua estrazione, trasporto, lavorazione raggiunse alti livelli, anche grazie alle conquiste e alle spedizioni in Oriente (Alessandro Magno, le guerre con i Persiani) che portarono ai Greci oggetti prodotti dagli artigiani di quelle terre lontane.

È interessante sapere che il re della Lidia faceva coniare monete per facilitare gli scambi commerciali (tali monete avevano un valore intrinseco essendo fatte di una lega, chiamata electrum, composta da oro e argento) e che nel 560 a.C. la prima moneta d'oro, detta statere, portava incisi i suoi simboli. La ricchezza della Lidia doveva essere notevole se portò addirittura alla nascita del mito di Mida, il re che tramutava in oro tutto quello che toccava. Forse fu la fama di ricchezza della Lidia ad invogliare i Greci a muovergli guerra ed assoggettarla.

 

4 - L'ORO e I ROMANI

 

Anche i Romani ebbero una grande considerazione per l'oro e, come i Greci, dovettero risolvere il problema di non possedere territori da cui estrarlo. Così dovettero approvigionarsi nei paesi che conquistarono, o attraverso scambi commerciali. Trovarono l'oro in Sardegna, poi in Gallia, Bretagna, Spagna e verso Est in Illiria, Macedonia, Asia Minore, Dacia, e nei Carpazi.

Forse la zona più importante per l'estrazione dell'oro fu, per i Romani, una porzione di territorio situato tra l'odierna Ungheria e la Romania. Il governo centrale di Roma aveva il monopolio per l'estrazione del prezioso metallo in quella regione e vi mandava schiavi e prigionieri di guerra condannati ai lavori forzati (damnati ad metalla).

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La prima moneta d'oro coniata dai Romani fu l'aureus mummus, del peso di otto grammi, voluta da Giulio Cesare. Su un lato era stampata l’effigie dell'imperatore, sull'altro scene religiose, politiche o varie.

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La crisi dell'Impero coinvolse anche la politica monetaria proprio come accade oggi con le oscillazioni del valore dell'oro, delle valute e dei cambi, l'inflazione, ecc. Fu così che la moneta d'oro romana diminuì di valore, quindi di peso e solo Costantino riuscì a riportare un certo ordine nel caos monetario. Il crollo dell'Impero Romano portò alla crisi l'estrazione e la lavorazione dell'oro; infatti le difficoltà di tali attività richiedevano un'organizzazione e una sicurezza sociale e militare che i tanti piccoli stati, formatisi dalla frantumazione del potere centrale di Roma, non potevano garantire.

Fu così che iniziò l'era più buia della storia dell'Occidente, potremmo dire buia anche perché non più rischiarata dalla lucentezza dell'oro.

L'interesse per il metallo giallo però non diminuì, tanto che alimentò nei secoli successivi la fantasia e gli studi dei primi scienziati, gli alchimisti. Furono questi ultimi che teorizzarono l'esistenza di una pietra filosofale che avrebbe avuto la proprietà di trasformare metalli vili in oro puro!

 

5 - L'ORO DOPO IL MEDIO EVO

 

L'Europa, uscita dal Medio Evo, scopre di possedere un'anima profondamente mercantile e materialista. La scienza serve a creare tecnologia che a sua volta ha scopi pratici di produzione. Il capitalismo e l'industria stanno nascendo. Si impone un nuovo ordine mondiale non più basato su valori religiosi o morali, ma alla cui base c'è lo sviluppo dell'individuo e la ricerca del benessere.

Ancora una volta il desiderio di possedere l'oro è, se non l'unica, una delle cause che ispirano grandi imprese.

 

6 - L'ORO DELLE INDIE OCCIDENTALI

 

Cristoforo Colombo si rivolgeva ai potenti d'Europa per avere il loro appoggio nella ricerca del passaggio ad Ovest per le Indie. Si rivolse ai regnanti di Spagna, i cattolici Isabella e Ferdinando e ottenne le tre famose caravelle con le quali partì per attraversare l'oceano Atlantico. Non giunse all'India perché in mezzo c’era il continente americano... ma non fu certo una sfortuna per la Spagna! Infatti dall'America non tardarono ad arrivare insperate ricchezze, non ultima quella dell'oro.

 

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Sorsero perciò colonie spagnole, portoghesi e di altri stati europei. Nelle colonie affluivano persone senza prospettive nella madre patria, o nobili impoveriti, avventurieri pronti a tutto pur di arricchirsi, galeotti, esuli politici... insomma gente alla ricerca di nuove possibilità di vita .

Tra i tanti uno: Herman Cortez, figlio illegittimo di un nobile, spedito nelle Antille per non creare problemi. Ad Haiti egli affermò che lui non era arrivato fin lì per amministrare e organizzare il lavoro degli schiavi nel latifondo paterno, ma per trovare l'oro.

 

7 - L'ORO e GLI Aztechi

 

Fu così che la febbre dell'oro investì per la prima volta il continente americano. Cortez equipaggiò due caravelle a sue spese e tra il 1517 e il 1518 partecipò alla spedizione spagnola nello Yucatan, abitato dal popolo Maya.

L'esplorazione di quella regione portò alla scoperta che il poco oro lì presente, sotto forma di gioielli e di oggetti magici e religiosi, proveniva da terre ancora più lontane. Le indicazioni raccolte portarono Cortez alla volta del Messico che era stato indicato come il luogo da cui proveniva l'oro.

Fu così che le due navi del giovane hidalgo spagnolo, armate di tutto punto, approdarono al Messico abitato dalla tribù più organizzata e bellicosa del continente Americano, gli Aztechi. Il loro imperatore era Montezuma, considerato figlio del sole, e la capitale era Tenochtitlan posta su un'isola.

La nazione verso la quale il capitano Cortez stava muovendo aveva una ferrea organizzazione statale, con un'evoluta rete di comunicazioni e una ricca cultura scientifica e artistica.

L’Impero Azteco era governato sulla base di un potere religioso che, tra l'altro, imponeva sacrifici umani, sembra addirittura che il ritmo di tali riti avesse raggiunto una frequenza esasperata al tempo della spedizione di Cortez e che ci fosse la credenza dell'imminente arrivo di un dio bianco, Quetzalcoatl, il Serpente piumato. Tale dio aveva fondato la tribù Azteca, poi l'aveva abbandonata, ma stava per tornare dal mare. E Cortez arrivò dal mare. Sbarcarono dalle sue case galleggianti uomini vestiti in modo strano, con oggetti misteriosi, mai visti dagli Aztechi. Non è difficile immaginare con quale rispetto il popolo e lo stesso sovrano Montezuma accolsero Cortez che rimase sorpreso di tanta considerazione. Il conquistatore bianco, mentre osservava la meravigliosa capitale azteca, ricevette regali che gli confermarono la ricchezza di quel paese.

Troppo tardi Montezuma si rese conto della cupidigia e della violenza che animava quel dio bianco e cercò di opporglisi. Quando il popolo affrontò i soldati spagnoli questi usarono alcuni degli oggetti misteriosi, gli archibugi, per uccidere a distanza i nemici. Lo sgomento si impadronì degli Aztechi, Montezuma fu catturato con l'inganno e ucciso.

L'Impero del sole si sgretolò con una rapidità che oggi ci appare inspiegabile, come sembra incredibile che il crollo di un'intera nazione (e della sua cultura) sia stata causata da una così piccola spedizione di armati. Ma la fama di Cortez fu presto superata da Francisco Pizarro, un altro avventuriero brutale e audace. Egli si mosse da Panama nel 1528 per esplorare nuovi territori, quelli protetti dalla Cordigliera delle Ande, dove si avventurò con soli 13 uomini.

Al suo ritorno portava con sé alcuni gioielli di squisita fattura, più tre indiani e tre strani animali, i lama. Con queste prove si presentò al re Carlo V, al fine di dimostrare la ricchezza di quelle terre che lui aveva esplorato e che era pronto a conquistare per la Spagna.

La storia è talvolta divertente, infatti Pizarro, appena sbarcato in Spagna, fu messo in prigione per debiti, quelli che lo avevano spinto a lasciare la madre patria per l'America. Comunque, dopo pochi giorni fu liberato dall'Imperatore che gli diede fiducia, lo armò di 177 uomini, dei quali 60 a cavallo, e lo mise al comando di una spedizione che avrebbe dovuto fondare il Nuovo Messico, per la gloria e, soprattutto, la ricchezza della Spagna.

Pizarro ripartì per Panama e da quella base americana mosse alla volta del paese degli Incas.

 

8 - L'ORO E GLI INCAS

 

Se la civiltà Azteca era stata fiorente e l'arte e la scienza vi si erano sviluppate notevolmente, quella Incas era per certi aspetti ancora più evoluta.

Il culto dell'oro era per questo popolo fortissimo.

Il figlio del Sole, il sovrano degli Incas, era un vero e proprio faraone, meritevole di onori e tributi, degno di essere ricoperto d'oro, il metallo che simboleggia la forza della vita. L'artigianato e la tecnica di lavorazione dell'oro era molto sviluppata, la quantità disponibile di tale metallo era veramente notevole e tutto ciò attirò irresistibilmente i conquistatori spagnoli che distrussero in un bagno di sangue anche quest'altra civiltà.

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Lavorazione dell'oro a Tiahuanaco

Quando Pizarro giunse alla reggia di Atahualpa vide cose incredibili, giardini con alberi dorati, palazzi e oggetti decorati con l'oro, gioielli. Pizarro catturò Atahualpa e chiese un riscatto altissimo per rilasciarlo: una quantità d'oro tale da riempire fino all'altezza delle mani alzate una stanza del palazzo reale. Gli Incas accumularono l'oro che possedevano in tutto il loro paese e raggiunsero la misura voluta, ma Pizarro strangolò Atahualpa, distrusse la reggia e rase al suolo la capitale Cuzco. L'oro fu fuso e in parte distribuito tra i partecipanti alla spedizione, il resto fu inviato al Re di Spagna. Il conquistatore spagnolo aveva sottomesso un territorio vastissimo che si estendeva sulle Ande e sull'odierno Perù e cercò di allargare ancora il dominio spagnolo inviando spedizioni in Cile, comandata da Pedro de Valdivia, e ad Est di Quito, al comando del suo fratellastro Gonzalo.

Successivamente il Sud America raccolse l'interesse del Portogallo che inviò spedizioni nell'odierno Brasile.

 

9 - LA MALEDIZIONE DELL'ORO

 

Tutta la ricchezza affluita in Spagna sembrava dover assicurare a questo regno la prosperità, e invece nel 1557 scoppiò una grande crisi. Lo stato giunse alla bancarotta, la Borsa di Anversa perse il controllo dei mercati e non fu più possibile onorare prestiti e impegni economici. Grandi imprese e compagnie navali fallirono. L'enorme quantità di metalli preziosi e materie prime provenienti dall'America crearono una crisi economica. Infatti le possibilità produttive europee non erano molto sviluppate. I pochi beni disponibili diventavano più preziosi del tanto oro presente che quindi perdeva valore mettendo in crisi i suoi possessori, vale a dire i governi che avevano finanziato le costose spedizioni oltre oceano. La ricchezza che Spagna e Portogallo ricevevano dall'America non veniva investita al loro interno, ma usata per pagare i prodotti di altri paesi più avanzati industrialmente e tecnologicamente. E intanto aumentava il bisogno di armi e mezzi di trasporto navale, di vie di comunicazione, di un apparato burocratico necessario a controllare possedimenti molto vasti, tutti con costi altissimi, come quello del sostentamento delle truppe; tutto ciò mise in crisi i regni iberici. Dopo il 1650 l'importazione dell'oro dall'America subì un crollo gravissimo.

 

10 - IL FASCINO DEI GIOIELLI

 

Forse gli uomini, anche quelli delle più antiche civiltà, hanno sempre trovato nei gioielli la compensazione a debolezze e desideri profondi, come la vanità, il bisogno di sentirsi ricchi o addirittura la necessità di assicurarsi salute e felicità grazie a oggetti cui attribuire caratteristiche magiche. Non è un caso che ai gioielli siano state attribuite capacità propiziatorie, oltre al più immediato significato di ricchezza materiale o di arricchimento estetico per chi li usa allo scopo di adornare la propria persona. Grazie ai gioielli è anche possibile capire meglio svariati aspetti di civiltà del passato attraverso le superstizioni, credenze, costumi, canoni estetici, conoscenze tecnologiche e rapporti commerciali ed economici che si sviluppavano intorno ad essi.

Talvolta gli archeologi e gli antropologi ricostruiscono attraverso i gioielli il patrimonio culturale di civiltà del passato delle quali si sono perse le testimonianze costituite da oggetti più deperibili.

I più antichi ritrovamenti di pietre, conchiglie ed ossa lavorate, magari forate in modo da far passare un filo allo scopo di ottenerne collane, risale a 25.000 anni fa. La funzione di tali oggetti poteva essere ornamentale ma probabilmente erano soprattutto degli amuleti. I processi mentali che determinavano tali comportamenti si possono riscontrare ancora oggi presso le culture più moderne.

 

Da “ Il libro dell’oro” Wefag S.r.l. Editrice – Roma 1992

Rielaborato da Odino Grubessi – 2013